Brutto come un San Pietro, ottimo come il San Pietro, due aggettivi che sicuramente rispecchiano questo magnifico pesce.
• Marco Meloni
Il pesce San Pietro è sicuramente una tra le specie ambite nel bolentino a medio/alto fondale. Questo pesce infatti vive su batimetriche che variano dai 50 ad oltre 150 metri, range di fondale dov’è ancora possibile pescare con i mulinelli classici a tamburo fisso. La zona di pesca è senza dubbio importante e quella dove possiamo incontrare la nostra preda è quella di scoglio con zone di macciotto e parti coralline; non da meno sono i relitti che spesso giacciono su fondali sabbiosi o di fango, ma creano quell’habitat naturale dove il pesce San Pietro trova un’ottima mangianza. Il primo problema essenziale è quello di fermare la nostra barca alle quote sopra dette ed oltre a disporre di un’ancora di peso rapportato alle dimensioni della barca, un’adeguata metratura e maglia di catena e lunghezza della cima, dovremo essere capaci di rimontare vento e/o corrente per cadere nella giusta posizione di pesca rispetto al fondo. Il pesce San Pietro è da definirsi una specie stanziale, ma spesso si sposta anche in branco nelle zone dove trova una mangianza maggiore rispetto ad un’altra.
Pescare a tali profondità poi presuppone l’impiego di attrezzature anche se non del tutto particolari, che si adattano al fondale, correnti ecc.
Partiamo dalle canne, solitamente di lunghezza tra i 3,50 ed i 4,5 metri ad azione potente, e capaci di sostenere piombature adatte al nostro tipo di pesca.
Il mulinello dovrà poi essere imbobinato con un multifibre di diametro compreso tra lo 0,14 e lo 0,20 millimetri. Il diametro può variare a seconda della profondità, ma soprattutto alla corrente presente. Con un diametro più sottile possiamo infatti tagliare molto meglio la forza della corrente ed impiegare così piombature più leggere.
Nella ricerca del pesce San Pietro, dobbiamo sapere che tale preda, pur abboccando a pesci morti come la sarda o altro pesce azzurro di dimensioni medie, predilige in modo assoluto l’esca viva ed in particolare due specie: la boga e la castagnola rossa. Questi due tipi di pesci solitamente sono sempre presenti in maniera massiccia nelle zone di pesca che praticheremo e proprio per questo motivo la nostra pesca dovrà essere effettuata con tali esche.
Il discorso potrà sembrare semplice e di facile attuazione, ma proprio ora arriva l’operazione più complicata. Sarebbe troppo facile, calare, catturare il pesce esca, recuperare ed innescarlo su di una lenza da dedicare alla nostra preda principale
Infatti, le prede da innescare che cattureremmo sul luogo di pesca, data l’alta profondità, arriverebbero in barca morte colpite da embolia, per cui il loro successivo innesco risulterebbe inutile. A questo punto dovremo effettuare la cattura del pesce/esca lasciandolo sul fondo e per questo, necessiteremo di un terminale appositamente studiato, o meglio, di due tipi di terminali.
Il primo è costruito in maniera classica, ovvero un finale da bolentino con piombo terminale e tre braccioli posti sopra alla zavorra. La lenza madre sarà di diametro dello 0,40 della lunghezza di circa 2 metri ed i braccioli saranno di lunghezza di circa 30 centimetri di diametro dello 0,35 millimetri con amo ad occhiello a curvatura larga del numero 4/0. La caratteristica essenziale di questo terminale è quella che sulla curvatura dell’amo, viene legato un piccolo bracciolo con monofilo di diametro dello 0,22/025 millimetri con amo del numero 8/10. La piombatura terminale di grammatura tra 150 e 300 grammi.
Il secondo terminale invece prevede l’impiego di un unico spezzone di nylon lungo circa 1 metro, di diametro dello 0,40 millimetri e 4 o 5 ami del numero 4/6 legati in linea. In questo caso detto finale viene collegato alla madre con una girella con moschettone dove alla stessa applicheremo anche il piombo per mezzo di una deriva in nylon di diametro dello 0,30 millimetri e lunga 10 centimetri.
La tecnica di pesca
Con il primo terminale, dovremo innescare solo l’amo piccolo con un pezzetto di calamaro oppure con un tentacolo dello stesso cefalopode e, dopo avere calato e raggiunto il fondo, attenderemo in primo luogo la mangiata del pesce/esca che sicuramente non tarderà ad arrivare. Quando avvertiremo l’allamatura del pesce, dovremo lasciare il tutto sul fondo aspettando ora l’attacco del nostro San Pietro. Quando questo arriverà nella zona del pescetto allamato, aprirà la sua immensa bocca ed ingoierà tutto: esca viva, amo piccolo ed amo grosso.
Con il secondo terminale la tecnica di base è pressoché identica, cambia l’innesco che viene effettuato con una sarda intera.
Con i 4 ami in linea, avremo buona possibilità di allamare una boga o una castagnola, ma allo stesso tempo possiamo attirare anche il san pietro verso il pesce azzurro utilizzato come esca. Questo secondo sistema viene utilizzato soprattutto quando sono presenti pochi pesci esca e quindi avremo maggiori possibilità di catturare la nostra preda. Il pesce San Pietro una volta allamato non opporrà molta resistenza, ma solo un enorme peso che dovremo recuperare, magari con molta cautela, aiutandoci con il pompaggio della canna. Come abbiamo detto in precedenza, i pesci migliori da utilizzare come esca per il San Pietro sono rappresentati da castagnole rosse e boghe. Molto spesso altri tipi di pesci vivi non sono proprio presi in considerazione dalla nostra preda. Proprio per questo motivo, una volta che tenteremo la pesca del San Pietro con l’esca viva, dovremo essere consapevoli che nel luogo di pesca siano presenti o le castagnole o le boghe. Una volta in pesca, se il San Pietro tarda ad abboccare, é bene recuperare la lenza e controllare quale pesce sia rimasto all’amo piccolo. Non di rado infatti, può capitare che all’amo piccolo sia rimasto un semplice serranide o un’altra preda magari non gradita al nostro pesce.
Curiosità
Il pesce San Pietro è’ conosciuto anche con il nome di “pesce gallo”, mentre gli Arabi lo chiamano “pesce di Dio” in quanto i musulmani non riconoscono i santi, ma li ritengono dei profeti. La tradizione popolare vuole che questo sia il pesce che Gesù moltiplicò sul lago di Tiberiade e che i due opercoli neri sul ventre siano le impronte di Gesù lasciate al momento di prendere fra le mani il pesce, prima della moltiplicazione.
Altra fonte invece dice che lo Zeus Faber o pesce San Pietro, sia così chiamato da quando il Santo ne pescò uno che aveva in bocca la moneta d’oro necessaria per pagare il pedaggio ad un posto di blocco romano. Il contatto con le mani del Santo fece rimanere al pesce le impronte digitali sotto forma di una macchia nera che trasmise ai suoi discendenti.