Strano e dall’aspetto minaccioso ma decisamente affascinante. E’ il pesce San Pietro, un grande cacciatore…
• Gian Luca Magri
Uno dei pesci più strani e allo stesso tempo minacciosi quanto affascinanti del nostro mare è senza alcun dubbio il pesce San Pietro. Caratterizzato da una portanza a dir poco minacciosa, vive a profondità abbastanza importanti, dai 30 metri in poi. Grande cacciatore, lo si trova quasi sempre in prossimità di secche o relitti dove ama cacciare, in particolar modo le belle e succose boghe. Dopo questa breve premessa vediamo qual è la tecnica migliore secondo il nostro punto di vista per “ingannare“ questo scorbutico rivale.
Il poter o il voler pescare su fondali di tutto rispetto, e più che altro farlo nella giusta maniera non è cosa da poco. Occorre cognizione di causa e una illimitata conoscenza delle abitudini dei pesci che vogliamo insidiare, nonché avere la barca “armata” con un’elettronica di buon livello per ben interpretare i segnali che il fondale c’invia.
La tecnica che utilizzeremo è un classico della pesca da natante, ovvero il bolentino, solamente con una specifica messa a punto per questo tipo di pesci. L’esca più utilizzata è senza alcun dubbio l’onnipresente boga, anche se non è da meno il sugarellino.
Per arrivare alla cattura della boga o del sugarellino, occorre fare un breve pit stop, e caricare i nostri ami con l’universale sardina che caleremo là dove il nostro ecoscandaglio ci segnala la presenza di questi pesci esca.
Spesso la sardina è preda di grossi sgombri o belle tanute e non di rado di qualche bel denticiotto, ed essendo l’esca principe per questa tecnica, è bene non lamentarsi qualora ci si dovesse imbattere in un combattimento con questi imprevisti intrusi.
Entriamo ora nel vivo dell’argomento analizzando tutto, punto per punto.
Il Calamento
Abbiamo prima accennato che utilizzeremo un calamento a bolentino, nel nostro caso con due braccioli a bandiera. La loro giunzione dovrà essere al trave grazie ad una perlina a 4 fori (ottime quelle di Stonfo). Incolleremo tassativamente le due perline di battuta grazie ad una goccia di Loctite 406. I due sistemi perlina – perlina 4 fori – perlina saranno distanti tra loro circa 80/90cm. I braccioli di diametro variabile tra uno 0,28mm e uno 0,33mm saranno invece di lunghezza variabile tra i 40cm e i 60cm. Gli ami rigorosamente collocati in serie saranno tre e del n. 1/0, mentre i braccioli in Fluorocarbon di diametro variabile tra uno 0.33mm e uno 0.37mm. I tre ami infine, disteranno l’uno dall’altro circa 2/3 cm. Il perché di questa scelta è presto detto; in questo modo, una volta agganciata la boga, uno o due ami saranno abbastanza “lontani” e liberi da essa pronti ad infilarsi in bocca al predatore, un po’ come si fa nel carpfishing con le boils, come diciamo noi toscanacci; “un amo tira l’altro”.
I braccioli saranno già pronti e porteranno al loro apice inferiore una perlina di battuta anch’essa incollata. È prassi fare un nodino semplice prima di passare la perlina in modo da creargli una battuta prima dell’incollaggio. Il trave del calamento può essere costituito da un buon nylon di diametro variabile tra uno 0,35mm e uno 0,37mm.
La distanza dalla girella del trave al primo sistema sarà di circa 90cm mentre la distanza del secondo sistema e il piombo di circa 5cm. Molto spesso se troviamo del fondale “sporco” con presenza di alga o varie altre cose, per non rendere inutile il primo bracciolo, ricorreremo ad un piccolo e semplice stratagemma; toglieremo il piombo, attaccheremo alla girella uno spezzone di filo di lunghezza di circa 1/1,5 mt, e fisseremo sull’estremità il piombo, la classica prolunga per meglio capirsi. In questo modo faremo lavorare il nostro bracciolo libero ed in modo accattivante.
Il piombo in questa tecnica dovrà essere proporzionato e mai troppo leggero. In quest’ultimo caso comprometterebbe il lavoro dei braccioli girevoli. Su queste profondità utilizzeremo una zavorra a pera di circa 130gr che ci consentirà una stabilità totale sul fondo.
In questo modo i braccioli “sventoleranno come una “bandiera” al vento evitando qualsiasi tipo di ingarbugliamento.
Il nostro piombo sarà collegato al calamento grazie ad una girella con moschettone. In alcuni casi raddoppieremo il collegamento con due girelle in modo da smorzare il più possibile eventuali tensioni con una rotazione molto più fluida. Il nostro mulinello sarà imbobinato con del multifibre di diametro 0,15mm. Grazie ad esso taglieremo ancor meglio la corrente marina dando sempre più stabilità e fermezza al nostro calamento.
Logicamente porremo in fase apicale un ammortizzatore costituito da una decina di metri di nailon dello 0,35mm che ci aiuterà in fase di combattimento a rendere un poco più morbida la lenza. La canna utilizzata per questo tipo di pesca dovrà essere ad azione medio rigida e di lunghezza di circa 4/5 mt.
L’innesco
Abbiamo precedentemente accennato all’utilizzo come esca dell’onnipresente sardina; essa dovrà essere posta sui nostri due ami seguendo un preciso percorso: innanzi tutto toglieremo la coda alla nostra esca ed il motivo è presto detto, così facendo infatti, in fase di discesa, essa non eseguirà l’effetto elica che la coda le causerebbe intrecciando sicuramente il bracciolo, oggetto di mille torsioni. In tal modo invece essa scenderà in modo lineare seguendo l’andamento del piombo. Lasceremo la testa in modo da rendere l’esca più duratura e appetibile per qualche eventuale bel Denticiotto o qualche bel Cappone.
Gli ami verranno posti sul dorso e faremo una mezza gassa sul moncone della coda x stabilizzare e fermare il tutto.
Azione di Pesca
Una volta raggiunto il fondo, alzeremo un attimo la lenza di qualche centimetro per liberarla da un eventuale perforazione, dopodichè la riappoggeremo delicatamente. A questo punto una volta percepite le inconfondibili mangiate della boga incocceremo. Una volta allamata la boga rimarremo fermi sul fondo in attesa. Ci accorgeremo dell’attacco del San Pietro inizialmente da un brusco movimento della sventurata boga seguita immediatamente da un leggero colpetto, segnale questo dell’avvenuto attacco. La nostra risposta dovrà essere immediata e sicura. La canna si piegherà a dismisura e la sensazione sarà quella di aver agganciato un grosso sacchetto o un bel polpo. Le “testate” saranno rare, il San Pietro infatti si arrende quasi subito.
A questo punto diventa delicatissima la fase di recupero che deve essere continua e parsimoniosa. Mai forzare o tirare come “dannati”; è sempre bene ricordarsi che stiamo pescando utilizzando ami abbastanza piccoli ed un monofilo altrettanto sottile per un pesce che ha una bocca a dir poco enorme. In poche parole recupereremo in maniera costante assecondando sempre un’eventuale ma fortunatamente poco probabile ripartenza del pesce. Per sancire la fine del combattimento utilizzeremo un capiente guadino. Maneggiare un San Pietro non è cosa da poco, in quanto pieno di opercoli spinosi. Consigliamo di tenere sempre il pesce ben saldo per la bocca. Lo sfortunato rivale emetterà sempre i tristi vagiti prima di arrendersi definitivamente.
Concludendo
A chiunque voglia cimentarsi in questa tecnica consigliamo di prestare particolare attenzione alla fase di ancoraggio. Occorre ben decifrare la direzione della corrente marina e della direzione del vento in modo tale da posizionare la barca lì dove abbiamo ben scandagliato ed individuato i banchi di pesce foraggio. Un errore in questa fase può solitamente compromettere l’esito finale della battuta di pesca. Quindi occhio a ben interpretare il nostro ecoscandaglio e grazie alla funzione Traccia sul nostro GPS individuiamo la direzione dello scarroccio. A questo punto non occorre far altro che risalire e calare la nostra ancora, e far fermare la barca nel punto stabilito.
Esistono altre tecniche per la cattura del San Pietro che ci riserveremo di illustrare in altri articoli, arrivando pian piano al nostro obiettivo che è quello di mettere a nudo e in padella lo scorbutico rivale.