Con questo primo articolo vogliamo intraprendere un percorso in cui esalteremo la Palamita, cercando di mettere in evidenza le tecniche più produttive alla sua cattura. La Palamita nel campo della pesca da natante in mare ricopre un posto di prim’ordine, annoverando nelle liste dei suoi estimatori un folto numero di accaniti pescasportivi.
• Gian Luca Magri
Pesce combattivo regala momenti mozzafiato,dall’esito incerto sino alla fine. Dotata di denti a dir poco tremendi riesce a trinciare con estrema facilità il nostro monofilo, lasciandoci spesso con un pugno di mosche tra le mani. La palamita è un pesce abbastanza schivo, difficilmente la vediamo sulla nostra pastura nell’immediato sotto barca. Molto vorace grazie al piccolo stomaco e alla grande massa muscolare, riesce a “bruciare“ abbastanza in fretta il cibo, rimanendo così quasi perennemente affamata e in caccia, a tiro dunque delle nostre lenze. La si insidia sia di giorno che di notte, possibilmente in quest’ultimo caso, quando siamo in presenza di luna piena, che la rende perennemente attiva. Grazie a queste sue innate doti di generosissima combattente e per le sue carni rivalutate ed apprezzate negli ultimi anni, sono state messe a punto per la sua cattura innumerevoli tecniche più o meno redditizie. La tecnica che abbracceremo in questo primo articolo, ovvero la pesca con il galleggiante, è in voga già da moltissimi anni, ma solo ultimamente, grazie a continue modifiche ed a continui miglioramenti, ha raggiunto un livello tecnico elevato, aumentando e non di poco il suo potere catturante. Prima vedevamo, e perché no, utilizzavamo, attrezzature “corte” come canne di 3 o 4mt armate con i classici galleggianti tondeggianti in polistirolo a forma di boa da 35 a 50gr di portata, delle vere e proprie “mede”. Ad essi, grazie ad un mitico girellone,agganciavamo il finale costituito quasi sempre da monofilo di diametro minimo dello 0.40mm armato con un “uncino” del n. 2/0 come minimo. È vero, utilizzando queste attrezzature ci sentivamo perché no, un po’ Ahab, cacciatori di balene dotati di attrezzature adeguate, ed il bello è che bene o male poi, in fin dei conti, lo eravamo veramente. Infatti le generose palamite di dimensioni enormi che sfioravano anche i 6/7 kg di peso, attaccavano tranquillamente le nostre esche, regalandoci dei tira e molla mozzafiato, che ricordiamo sempre con molto piacere, facendoci rimpiangere alle volte i tempi che furono…
Ma veniamo ad oggi, che se non montiamo un bel fluorocarbon non andiamo a pescare, e se non utilizziamo una canna che pesa meno dell’aria, in grado di tirare via un tonno in pochi minuti, ci sentiamo indietro coi tempi, oggi che siamo in grado di insidiare delle palamite di 4 o 5 kg utilizzando un finale di diametro inesistente.Abbiamo limato e perfezionato un po’ tutto, analizzando la nostra lenza come se fosse un paziente in fin di vita… ed alla fine abbiamo operato. Il primo intervento importante è stata la sostituzione dell’obsoleta boa, che offriva in fase di “filata” un notevole attrito dando modo alle volte alla palamita di “sputare“ la nostra esca completamente intonsa. Abbiamo così deciso di utilizzare un galleggiante di forma più affusolata o a pera che, in caso di filata, abbia il minorattrito possibile. A questo punto una precisazione è dovuta, ovvero sul perché utilizziamo il galleggiante. Il solo compito che esso ha, la sua sola funzione, è quella di trasportare e far lavorare la nostra esca alla profondità voluta. Serve nient’altro, pescheremo sempre a bobina aperta a filare e ci accorgeremo della partenza dallo svolgersi veloce del filo; non è che stiamo li a fissare i nostri galleggianti per decifrare le beccate.
I galleggianti che utilizzeremo saranno di portata variabile tra gli 8 ed i 25 gr. Questo divario è dovuto solo alla massa dell’esca utilizzata. Per meglio capirsi, se pescheremo con il tocchetto di sarda un 8 gr può andare più che bene, altresì se saremo costretti, causa la presenza eccessiva di pesciolame in scia, ad utilizzare come esca la sarda intera, viste le sue dimensioni, utilizzeremo un galleggiante di portata superiore, come un 20/25gr. Ma ci teniamo a ribadire la sola funzione che il galleggiante ha in questa tecnica, ossia il trasportare, il far transitare la nostra esca ad una profondità ben stabilita, dove noi pensiamo stia lavorando la nostra pastura e quindi si trovi il pesce in caccia. Il galleggiante ovviamente sarà del tipo scorrevole in modo da poterlo tarare anche a notevoli profondità. Altro fattore importantissimo in questa tecnica è il diametro del monofilo da utilizzare come trave. Prima avevamo come abitudine, chiamiamola così,d’imbobinare con monofilo di diametro discreto ed eccessivo, come uno 0,35 mm per la paura di strappare. Dopo anni, e diciamo pure con ilcontinuo evolversi delle tecnologie, siamo arrivati ad avere monofili dello 0,25 mm con carichi di rottura enormi rispetto ai passati e appositamente studiati per imbobinature con completa assenza di memoria. Grazie a ciòriusciamo ad imbobinare tranquillamente uno 0.25 mm che ci garantirà una fluida fuoriuscita, in grado di far transitare la nostra esca proprio dove sta lavorando la nostra pastura. Visto che pescheremo con monofili sottili, in quest’ultimo caso di diametro variabile tra uno 0,20 mm e uno 0,26 mm, quest’ultimo da utilizzare quando il pesce non è diffidente e mangia senza curanza, dovremo fare attenzione anche a tutto ciò che ruota intorno al nostro attrezzo principale, ovvero la canna.
Nel cestino quei “bacchia fichi“ di 3-4 mt per far posto alla nuova generazione di canne di lunghezza variabile tra i 5 ed i 6 mt. ad azione media, capaci di opporsi alle grandi fughe del pinnuto. Grazie alla loro azione riusciamo a contenere e ben gestire le poderose partenze e le improvvise evoluzioni che la palamita ci regala in special modo nel sottobarca.
Il Calamento
Innanzitutto collocheremo sul trave uno stop (ottimi sia quelli di lana che quelli in gomma), a seguire una perlina guidafilo, poi il nostro galleggiante seguito da un’altra perlina salva-nodo, una torpilla di peso adeguato, un’altra perlina ed infine una girella tripla del n. 18.
Ad essa agganceremo il nostro finale in fluorocarbon. La sua lunghezza sarà in tutti e due i casi intorno ai 2,5/3 mt. Ruolo importantissimo nella pesca alla palamita viene ricoperto dal “rinforzino”, ovvero da quello spezzone di monofilo di diametro superiore al finale che fissiamo grazie ad un nodo alla fine dello stesso ed al quale fisseremo gli ami. Molti utilizzano uno spezzoncino di 4-5 cm di trecciato, mentre a noi piace di più uno spezzoncino di fluorocarbon dello 0,28/0,30 mm. Che dire, i gusti sono gusti! Solo che utilizzando il trecciato abbiamo l’impressione di appesantire la lenza togliendogli continuità. Noi pescatori tanto normali non siamo…
A questo punto uniremo il nostro spezzoncino al finale con un nodo blod. Di nodi di giunzione ne esistono tantissimi ma, il più semplice ed utilizzato tra i pescasportivi, è sicuramente il blod, grazie anche alla sua facilità di esecuzione. Gli ami che utilizzeremo saranno due bei n.1 fissati in serie, una costante questa per tutte e tre le tipologie di innesco, ovvero sia con sarda intera, che con mezza sarda o con due tocchetti.
Azione di pesca
La pasturazione deve essere costante e non esagerata, costituita da piccoli pezzetti di sarda lanciata ad intervalli regolari anche durante la fase di combattimento. Meglio se aiutata da un macina sardine. Per una battuta di pesca utilizzeremo circa 4-5 kg di sarde. La toccata della palamita è secca e decisa; attacca l’esca a gran velocità ed il filo uscirà vertiginosamente dalla nostra bobina.
Con molta calma chiuderemo l’archetto e, appena il filo sarà in trazione, schioccheremo la nostra ferrata che dovrà essere dolce ma allo stesso tempo decisa per permettere agli ami di affondare nelle dure e “dentute” mandibole del pesce evitando di rompere il finale. Il combattimento sarà avvincente perché come accennato prima, la palamita è un pesce che non molla facilmente e, fino alla fine, darà tutta se stessa x potersi liberare dalla acciaiosa presa. Specialmente quando sarà in prossimità della barca la palamita darà il meglio di se stessa (fughe rocambolesche sono all’ordine del giorno), ma se abbiamo fatto tutto come si deve ed utilizziamo la giusta attrezzatura, per la sciagurata rivale il futuro non sarà del tutto roseo, bensì pillottato con aglio e ramerino x esaltare il gusto delle sue squisite carni.
Un’ultima cosa, e non per importanza, ovvero la scelta del luogo di pesca. Da buon pelagico la Palamita predilige cacciare sulle franate o sulle cascate delle secche. Quindi occhio al GPS ed allo scandaglio. Una volta individuato il posto dove effettuare la battuta ed inserita la funzione Traccia, prima di calare l’ancora controlliamo bene la direzione della corrente. Individuata, basterà riportarsi a monte, filare l’ancora e prepararsi a qualche bel e sperato combattimento sul filo del rasoio.