L’argomento: affondare l’esca con “downrigger” è stato ben apprezzato dai nostri lettori al punto di chiederci degli approfondimenti in merito ed in particolare su zavorra e metodo di sgancio…
• Maurizio Pastacaldi
Il piombo “dell’affondatore”
Molteplici forme e colorazioni di zavorra guarniscono vetrine e cataloghi specializzati; dalla semplice palla, alla forma di pesce, al disco, fino al fantomatico “Wing”, punta di diamante del mercato americano. Questa invenzione d’oltreoceano è funzionale ma ricordiamoci, prima d’incorrere in una spesa errata, che la massima espressione la fornisce navigando a velocità sostenuta (3 – 5 nodi), quindi con esche artificiali.
Comunque, dopo anni e anni di prove in mare, possiamo asserire che la forma vincente per trainare con esca viva sia il disco nella colorazione nera. Grazie alla sua forma idrodinamica, al modello maxi da 7 kg, abbinato a un cavetto di acciaio da 120 libbre “sevenstrand”, si riesce a far lavorare il nostro disco a profondità per la traina veramente abissali; tante volte è la mossa vincente per catturare prede difficili. Ultimamente, per andare ancora più a fondo si arma il nuovo affondatore “Cannon” a bobina amovibile con un robusto multifibra in modo da sconfiggere anche il minimo attrito dell’acqua. Ricordiamoci di adottare, usando multifibra in bobina, modelli di affondatore che hanno il congegno “auto stop” che consente di fermare il recupero della zavorra ad un’altezza prestabilita.
La pinza dell’affondatore
I metodi usati per collegare la lenza madre all’affondatore sono le pinze e gli onnipresenti elastici di caucciù. Le prime, riescono con le guanciotte incorporate a trattenere il monofilo e a pre-impostare la frenata dello strike in modo di auto allamare la preda.
In un primo momento, veniva commercializzata un’unica pinza collegata alla palla dell’affondatore per mezzo di un piccolo spezzone da 10 centimetri di cavetto d’acciaio. Essendo prettamente nata per l’impiego lacustre, nell’ambiente marino sono subito sorti dei problemi che per vostra tutela elencheremo:
- Con mare formato, la prima difficoltà è quella di tarare e armare la pinza fuori dal bordo, dove, oltre al pericolo di capitombolare in acqua, si ha anche la possibile sventura di poter battere la palla di piombo sulla murata della nostra amata imbarcazione………
- In caso di un’erronea taratura del sistema di sgancio, durante lo “strike”, a volte capita di ledere il monofilo a seguito dell’accidentale sfregamento dentro il “grip” delle guanciotte, al punto d’indebolirlo. Invece, l’elastico di caucciù è il compagno inseparabile del provetto trainista. Il segreto è adoperarlo tramite un moschettone ed unirlo con una bocca di lupo alla lenza madre.
Un giorno però furono importate dal mercato statunitense le pinze R. Release, che hanno portato una ventata di novità nella traina con l’affondatore. Uno dei pregi di questa nuova pinza, è quello di riuscire ad armare la lenza nel pozzetto e di alloggiarla con tutta tranquillità sul cavo dell’affondatore all’altezza stabilita. Grazie a questo connubio, morsetto di blocco e cavo dell’affondatore, si possono utilizzare più pinze in contemporanea su di un unico affondatore. Spesso, condizioni di mare permettendo, è possibile calare con questo modello di pinza anche tre canne su di un unico affondatore. In fase di recupero, anche con modelli elettrici, la linguetta del morsetto, forzando sul guidafilo libera la pinza stessa, rendendo facile e veloce la risalita. Ma il “TOP” di questa ingegnosa pinza è che il monofilo lavora su di una serie di perni e leve atte a ferrare il pesce alla tensione stabilita, con il grande vantaggio di non lesionare il monofilo in fase di allamata eliminando problemi di sfregamento e abrasione. Che grande invenzione!!