Il bolentino a scarroccio si può definire una tra le prime tecniche di pesca. Una volta veniva praticato soltanto con la lenza a mano, mentre oggi si è “adeguato” a canna e mulinello.
• Marco Meloni
Lo scarroccio, nel gergo marinaro, rappresenta lo spostamento trasversale di una barca provocato dal vento: si distingue dalla deriva che, pur provocando un effetto analogo, è invece conseguente alla corrente marina.
Al nostro scopo sicuramente sono da considerare entrambe le definizioni, anche se per praticità ingloberemo nel termine “scarroccio” entrambi gli effetti, considerando quindi genericamente la barca in movimento laterale, spostata dal vento e/o dalla corrente.
Questo modo di pescare nasce dalla necessità di sondare con le esche vaste zone di fondale. Se vogliamo essere pignoli, il bolentino a scarroccio è solitamente indirizzato alla pesca dei pagelli, anche se poi si possono catturare una moltitudine di prede quali tracine, gallinelle, pagelli bastardi e grossi sciarrani. Si tratta sempre di specie che amano fondali particolari come quelli sabbiosi, fangosi ed a macciotto (vale a dire con ciottolame sparso): d’altronde, mettere in pratica una pesca a scarroccio su fondali a scoglio e posidonia equivarrebbe a perdere numerosi terminali che, per l’azione della barca, s’incaglierebbero inevitabilmente sulle asperità del fondale. Come vediamo quindi la zona di pesca e quindi la morfologia del fondale diventa essenziale per questo metodo di pesca.
Il bolentino a scarroccio non richiede profondità particolari, tanto che spesso possiamo farlo in pochi metri di acqua e fino ad oltre 100 metri. Molto dipende dalla formazione della costa nella nostra zona di pesca.
La canna, mulinello ed imbobinatura
Consideriamo anche che bolentino a scarroccio nasce con la lenza a mano, e solo da pochi decenni si è aperto all’uso di canna e mulinello. Le canne, seppur con una spiccata azione di punta e vette sensibili, si differenziano in maniera soggettiva per quanto riguarda la lunghezza, in quanto alcuni pescatori preferiscono impiegare canne corte (diciamo nelle misure dai 2 ai 3 metri), mentre altri scelgono di preferenza canne lunghe (5 metri).
Alla canna va abbinato un mulinello che dovrà essere fluido, anche quando impegnato nel recupero di pesi spesso notevoli (per piombature e pesci). La scelta solitamente cade su una misura minima 5000 con una velocità di recupero abbastanza ridotta, ovvero non superiore a 4,5 giri del rotore per ogni giro di manovella.
Importante è sicuramente la scelta del filo da imbobinare. Oggigiorno il nylon è, per questa specifica tecnica, diventato ormai obsoleto. Molti infatti i vantaggi che troviamo nel trecciato rispetto ai classici nylon, ovvero minore diametro e quindi minore trazione nell’acqua e nessun allungamento e quindi percezione della pur minima mangiata. Come diametri si parla di stare molto “sul sottile” e lo 0,12 mm. è sicuramente la misura ideale; non nego che spesso in questa tecnica uso senza problemi uno 0,09 o 0,10 millimetri. Da non dimenticare che, quanto usiamo questo filo, è bene sempre optare per l’aggiunta, tra questo e la girella con moschettone che collegherà poi il terminale, di uno spezzone (shock leader) in nylon di diametro dello 0,30 millimetri della lunghezza di circa 10/12 metri.
I terminali dello scarroccio
A questo punto non resta che affrontare il discorso terminali. E’ ormai risaputo che più lungo è il bracciolo, migliori sono le possibilità di presentare l’esca in modo naturale perciò, senza eccedere, ci manterremo sempre su lunghezze che variano dai 20 agli 80 centimetri. La caratteristica principale di un terminale da scarroccio è quella di avere l’amo pescatore, ovvero quello più vicino al piombo, che dovrà pescare al di sotto di questo, in modo che una volta in azione si adagi perfettamente sul fondo. I braccioli saranno di diametro dello 0,20/0,25 millimetri con ami del numero 4/8 solitamente con gambo medio e curvatura rotondeggiante. Nella costruzione dei terminali, molta importanza viene data anche dagli snodi di connessione tra bracciolo e madre.
In tutti i tipi di bolentino, nel campo degli snodi, i più utilizzati sono le perline a 4 fori, dove viene fatta passare la lenza madre e il terminale. Questi tipi di perline permettono una perfetta rotazione di tutto l’apparato pescante eliminando le torsioni e quindi riducendo gli ingarbugliamenti. Nella costruzione del terminale, la distanza di fissaggio di tali snodi assume un’importanza fondamentale: tale spazio dovrà sempre essere di almeno 15/20 centimetri più lungo del bracciolo, al fine di evitare che durante la discesa sul fondo la lenza possa ingarbugliarsi. Il piombo parte da un minimo di 50 grammi fino anche ad oltrepassare i 300 grammi, la differenza di grammatura dipende molto dalla velocità di scarroccio, tenendo sempre presente che per pescare in maniera corretta il terminale deve essere appoggiato al fondo.
Inneschi da scarroccio
Tre le esche principali: il gambero, il totano ed i vermi. Il gambero è solitamente impiegato quello di fascina o quello di paranza. Si tratta di gamberetti da innescare interi. Per il totano invece si parla di un cefalopode congelato di misura di circa 15/20 centimetri che in gergo viene chiamato Patagonia C5. Di questo si usa la sacca, aperta e pulita e snervata con un apposito martellino. Viene poi innescata la strisciolina tagliata con uno sfilettatore o un cutter. Devo dire che non sono solito impiegare i vermi nel bolentino, anche perché sono dell’idea che spesso vengono attaccati dalla minutaglia. Nello scarroccio però, coreani ed americano spesso sono un’ottima alternativa alle due esche sopra citate.