Mi chiamo Simone Sannino, sono una guida di pesca certificata Aigupp e le mie sessioni di pesca invernali si concentrano per lo più sulla pesca al dentice. Ho il piacere di raccontarvi il mio punto di vista sulla pesca in verticale di questo meraviglioso predatore e di parlarvi un po’ di slow pitch e di softbait.
• Simone Sannino
Mi piacerebbe iniziare dal mio grande amore, lo slow pitch, un modo di pescare a mio parere molto affascinante e tecnico, ma che ha perso un gran numero di praticanti nel corso di pochissimi anni. Come tutte le tecniche nuove, infatti, anche questa all’inizio ha dato ottimi risultati, ma poi il pesce e la sua memoria hanno fatto sì che il numero di catture scendesse drasticamente e di conseguenza diminuisse il numero di angler che la praticavano. Eppure, lo slow pitch è una tecnica che ancora oggi paga più di altre, specialmente in determinate situazioni, e che può regalare ottimi risultati, soprattutto nei momenti di apatia del pesce. Ma in che modo?
Iniziamo con il concentrarci su peso e forma dei jig (Foto 1). In casi di apatia delle prede, infatti, vige la regola del “più leggero possibile” che ci consenta di rimanere in verticale, oltre ad una forma che deve aiutarci a tagliare meglio la corrente. Dovremo, quindi, trovare il miglior compromesso tra forma e peso, ricordandoci che in momenti come questi un jig molto voluminoso funzionerà meno di uno più contenuto. Anche la velocità di recupero e, di conseguenza, i movimenti impressi dalla combo canna-mulinello sono molto importanti. Fondamentale è trovare, ogni volta, la giusta chiave di lettura e per farlo avremo bisogno di una specie di “terzo occhio” che ci permetta di immaginare un pesce apatico sotto di noi, ricordandoci che con l’artificiale abbiamo due tipi di attacco – per territorialità e per curiosità – e che, quindi, bisognerà giocare e puntare tutto su queste due carte vincenti, ma non semplici da usare. Cercheremo, perciò, di muovere il nostro pezzo di ferro con “pitchate” corte, un quarto o addirittura un ottavo di giro di mulinello. Un piccolo trucco in queste situazioni, in realtà, sarebbe di non girare proprio il mulinello, ma pitchare con l’ausilio del braccio. Infatti non abbiamo bisogno di risalire 10 metri, bensì di restare sul fondo e di fare tanti piccoli movimenti che daranno così fastidio al nostro predatore fino a farlo innervosire o incuriosire al punto da attaccare il nostro “inganno”. (Foto 2)
A tal proposito, importante è anche la scelta dei terminali, che dovranno essere rigorosamente in fluorocarbon poiché la sua caratteristica di rigidità permette al sistema pescante di muovere il jig esattamente come vogliamo quando pitchamo, mentre con il nylon il movimento impresso arriverebbe meno deciso sull’esca, rischiando di non muoverla correttamente. Altra cosa fondamentale a cui pochi prestano attenzione è anche il diametro del filo. Secondo la mia esperienza infatti, il maggior numero di abboccate si avranno pescando con uno 0,37 mm – fino a scendere ad uno 0,28 mm per il light slow. I motivi principali di questo risultato sembrerebbero da ricercare: sia nel minor numero di vibrazioni in acqua, che nella naturalità del movimento che il jig riesce ad avere, che è poi ciò per cui è stato progettato. Potrò sembrarvi pazzo, ma così facendo in tutti questi anni non ho mai perso un dentice per rottura del terminale! A onor del vero, mi è ovviamente capitato di averne di slamati, ma questo è accaduto anche con altre tecniche e con terminali molto più importanti. Un altro punto sul quale voglio soffermarmi, poi, è il colore dei jig. Il mercato ormai offre una così ampia gamma di colori da diventare matti e posso assicurarvi che averli tutti non aiuta. La mia preferenza ricade veramente su poche colorazioni sempre valide e performanti: i jig blu e rossi o celesti e rosa, quelli a pois e quelli a strisce. Ritengo che questi ultimi due tipi, in particolare, offrano un senso di movimento dell’artificiale che attira maggiormente i pinnati e infatti, nel corso degli anni, si sono rivelati personalmente tra quelli più catturanti sia con i pesci di fondo che con i pelagici. Su fondali molto rocciosi, può essere determinante montare gli assist (ami) solo nella parte della testa e non sulla coda del jig. Questo darà il beneficio di far muovere meglio il jig, attirando maggiormente i pesci. Nell’attacco però, visto che i jig pesano di più degli ami, i pesci troveranno prima gli ami e li ingurgiteranno. (Foto 3). In questo caso si consiglia un finale di 0,35/0,37.
A questo punto, tralasciando la parte tecnica di canne e mulinello di cui hanno già parlato un po’ tutti e volendo fare una piccola classifica in ordine di importanza delle accortezze da avere, direi che le cose fondamentali da tenere a mente quando si parla di slow pitch sono:
- diametro del filo;
- velocità di recupero del jig;
- forma e peso del jig;
- colore del jig.
A differenza dei jig, le softbait usate per la pesca al dentice sono invece già per natura più attrattive – basti pensare alla vibrazione della gomma che emette frequenze più simili ad un pesce o ad un cefalopode di quanto non faccia un jig – e, non a caso, restano ancora molto efficaci e con un buon numero di addetti ai lavori ad utilizzarle. (Foto 4)
Quando si sono diffuse per la pesca in verticale, il mercato delle softbait offriva praticamente una sola misura. Con il passare del tempo però, sono apparse anche imitazioni di seppie e calamari in diverse misure, tra cui quelle più piccole. (Foto 5)
Visto il minor numero di pesci, le poche finestre d’attività in generale e la diffidenza delle prede del Mediterraneo (molto diverse in ciò dai loro parenti d’oltre le Colonne d’Ercole), queste esche in particolare danno eccellenti risultati in situazioni di apatia del pesce, momenti in cui il minor volume dell’artificiale ha un ruolo fondamentale e in cui bisogna sfruttare soprattutto i fattori di territorialità e di curiosità delle prede. In occasioni del genere, infatti, l’attacco sarà sempre dettato dalla territorialità o dalla curiosità del pesce ed è perciò, innervosendo il pesce che innescheremo più facilmente l’attacco. (Foto 6 e 6bis)
Durante le mie giornate di pesca, inoltre, ho notato che i dentici sono particolarmente incuriositi e reagiscono meglio quando si utilizzano colorazioni come rosso, bianco e arancio, rosa, rosa e blu (ottime, a tal proposito, le softbait kamaleo della GT-BIO che cambiano colore, (Foto 7 – 7 bis – 7 ter) offrendo un realismo fuori dal comune). Per quanto mi riguarda, utilizzo i colori sopra citati durante tutte le ore del giorno e per profondità non superiori ai 50 metri. Se l’acqua è poco o molto velata, invece, ricorro all’aiuto delle colorazioni UV che sono chiaramente più visibili; oltre questi parametri, infine, utilizzo solo colorazioni glow che, grazie alla loro fotoluminescenza, risultano maggiormente attrattive. Come già evidenziato in precedenza, poi, anche in questo caso il diametro del filo può fare la differenza. Possiamo partire da uno 0,35 mm ed arrivare fino ad uno 0,50 mm per batimetriche più importanti, se non ci sentiamo sicuri di affrontare questa pescata tutta con un buon diametro. Anche qui un buon fluorocarbon ci aiuterà con la sua rigidità a far funzionare perfettamente l’azione di pesca – trasmettendo all’esca i movimenti impressi dal pescatore al sistema pescante – e ad avere una resistenza all’abrasione maggiore in caso di sfregamento con il fondale roccioso. Io però, in particolare con le softbait e soprattutto sufondali oltre i 70 metri, uso anche il nylon che, essendo più elastico, lascia un po’ più di naturalità al movimento dell’esca.
Ad ogni modo, l’azione di pesca in questo contesto risulta essere molto semplice. Tuttavia, a volte mi è capitato di notare letteralmente solo un saliscendi da parte dell’angler, movimento anche piuttosto noioso da praticare per ore ed ore. Io, personalmente, preferisco cambiare la velocità di recupero e alternare il lineare a delle jerkate delicate, quasi accompagnando la canna. A dirla tutta, in realtà, la maggior parte degli strike li ho avuti proprio durante delle pause – pause anche di sette o otto secondi e con il filo lento, quindi senza vibrazione del filo né movimento alcuno dell’esca, nonostante un minimo di scarroccio della barca – o quando l’esca toccava il fondo. A questo proposito, infatti, a volte quando l’artificiale tocca il fondo è buona norma lasciarlo lì: non saprei dire se ad attirare il pinnato sia la “nuvoletta” che si viene a creare battendo l’esca sul fondo, oppure il silenzio che segue questo battere, durante le pause, ma vi garantisco che quest’accortezza mi ha spesso evitato di tornare a casa a mani vuote. Non spaventatevi, inoltre, se recuperando il filo dopo una pausa potreste aver la sensazione di aver incagliato e, per qualche secondo, la paura di perdere l’esca sul fondo potrebbe farvi tirare giù qualche dio dell’Olimpo: ben presto capirete che ne sarà valsa la pena e sentirete la paura trasformarsi in adrenalina ed incredulità quando quello che pensavate fosse un sasso inizierà a correre e far cantare la frizione del mulinello! (Foto 8 – 8 bis)
Come per i jig poi, anche con le softbait il peso ha la sua importanza. Per quanto riguarda la pesca in verticale in particolare, una linea guida potrebbe essere quella dei “quattro grammi per ogni metro d’acqua sotto di noi”, ma è per l’appunto una linea guida e non una legge universale. Poniamo il caso, ad esempio, in cui stiamo pescando a scarroccio e non riusciamo a tenere l’esca più o meno in verticale: saremo, ovviamente, costretti ad aumentare il peso della testa piombata.
Niente e nessuno ci vieta, infatti, di pescare con 200 grammi su 30 metri di profondità, anzi… (Foto 9)
A volte, per contrastare corrente e/o scarroccio della barca, è l’unica scelta che abbiamo per arrivare sullo scoglio desiderato, ma dobbiamo sempre ricordarci di rallentare l’esca negli ultimi 10/15 metri della sua discesa in modo da incuriosire il pesce e non spaventarlo. A tal proposito, è importante ricordare che la velocità di affondamento dell’esca nei primi metri d’acqua non è la stessa che a 30 o a 100 metri di batimetrica. A livello del mare, infatti, abbiamo una pressione di un bar (circa un chilogrammo per centimetro quadrato), ma questa pressione aumenta di un bar ogni 10 metri di profondità. Quindi a 30 metri avremo un peso di circa 4 kg/cm², a 40 metri saranno circa 5 kg/cm² e così via; ciò significa che più il nostro artificiale scende, più aumenta la sua velocità di discesa. Ricordiamoci, perciò, di rallentarlo se non vogliamo che le nostre prede scappino a velocità ultrasoniche in preda al panico, e con poche probabilità di ritorno! È molto importante impiegare anche una girella, perché le gomme tendono, a differenza dei jig, a girare maggiormente e a produrre più torsioni. Un altro dettaglio è quello di utilizzare gli assist. Come si evince dalla foto (Foto 10), senza l’uso degli assist il pesce avrebbe tagliato la gomma, mentre nella seconda foto (Foto 11-12), si vede chiaramente che senza l’impiego dell’assist il pesce sarebbe andato perso.
Un ultimo consiglio, infine, per questo tipo di pesca. A volte, quando pesco da solo in barca a scarroccio con le gomme, lascio una canna nel porta canne con una softbait di pari forma e peso a quella che nel mentre utilizzo, la calo e la lascio a circa due metri dal fondo e ogni tanto correggo la profondità in base alle variazioni del fondale per evitare l’incaglio. Così facendo, si vengono a creare un maggior numero di vibrazioni, avremo ben due esche negli abissi e quindi non solo una doppia possibilità, ma anche una maggiore visibilità – quasi come se ci fosse più foraggio – e la cosa si è dimostrata spesso una carta vincente, specie quando i predatori non erano così vicini. Mi è capitato, infatti, che questi preferissero proprio la canna ferma, quella animata da scarroccio ed eventuale rollio della barca, invece che quella mossa da me. Non saprei dire se fosse perché quell’esca ai loro occhi apparisse come una preda più facile dell’altra o semplicemente perché venisse intercettata prima; del resto, sarebbe bello poter capire tutto e rispondere a tutte le curiosità, ma parte del fascino della pesca nelle profondità marine è proprio il mistero…
Per concludere, volendo stilare anche per le softbait una piccola classifica in ordine di importanza delle cose da tenere a mente, direi che bisogna avere accortezza in fatto di:
- misura;
- colore;
- velocità di movimento dell’artificiale.
(Foto 13)
Bene, si conclude qui questa mia “prima volta” da “articolista”. Spero che vi sia piaciuto, che vi possa servire e, da parte mia, vi ringrazio per l’attenzione che mi avete riservato.
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