Questo è il primo di una serie di articoli che scriverò in collaborazione con Fishing Boat Magazine, con i quali vorrei provare a farvi entrare un po’ nel merito delle tecniche di pesca che pratico più assiduamente; trattando i vari argomenti in modo leggero, limitandomi a descrivere quello che so fare, che ho imparato grazie ai consigli degli amici più esperti, o che ho imparato col tempo e con l’esperienza maturata.
• Ivan Scanu
Non si tratta di verità assolute o di chissà quali segreti, ma mi piacerebbe pensare che, attraverso questi racconti, possiate trovare spunti interessanti per le vostre battute di pesca. Una serie di articoli un po’ tecnici ed un po’ raccontati come si trattasse di una mia normale uscita di pesca… Iniziamo a parlare delle tecniche che in questi ultimi anni mi hanno affascinato di più, alle quali, in passato ho dedicato gran parte del mio tempo: ossia dell’Inchiku e del Vertical Jigging, nelle loro varie sfaccettature.
In genere, quando si parla di pesca, ci si dimentica spesso che un’uscita dovrebbe iniziare già il giorno prima, con una corretta pianificazione della giornata successiva. Iniziando dal controllo delle previsioni meteo-marine e, qualora si decida di trovare nuove zone di pesca, dal momento in cui si consultano le classiche carte nautiche o i vari software cartografici oggi a disposizione. Questi ultimi risultano particolarmente agevoli nella consultazione, ma avremo occasione di riparlarne più dettagliatamente in futuro. Valutare le condizioni meteomarine significa vedere direzione ed intensità del vento e, in base alla nostra esperienza, decidere quale sarà la zona dove svolgere la battuta di pesca. Spesso, infatti, i pesci, che notoriamente hanno la coda, con determinate condizioni meteo si spostano da zona a zona per trovare ambienti più favorevoli. Il mio GPS cartografico contiene un migliaio di marker memorizzati negli anni; alcuni sono decisamente utili, altri li possiamo considerare “non inutili”. Tra gli ambienti in cui preferisco pescare ci sono gli elementi di attrazione isolati: ossia piccoli agglomerati di rocce su distese di fango, grossi scogli isolati, aree a fondo sassoso in mezzo a fondali di sabbia. “Microambienti” in cui s’innesca la catena alimentare. I punti “utili” sul GPS sono quindi quelli dove, in passato, ho effettuato delle belle catture, e sono di conseguenza i primi che vado a visitare.
Di solito arrivare in una delle zone preferite non significa arrivare su di un singolo marker isolato, ma in una zona dove ci sono più marker ravvicinati, un’area dove è stato appurato che il pesce tende a concentrarsi per motivi a noi spesso sconosciuti. In questo caso non possiamo affidarci ad un solo punto dove abbiamo catturato una bella preda, perché non è detto che oggi ne troveremo un’altra esattamente li’: i pesci hanno le pinne e le usano bene. Quindi per prima cosa, all’arrivo nell’area scelta, iniziamo a scandagliare tutta la zona; dobbiamo cercare di capire, in base alla corrente, dove staziona il pesce. Purtroppo non è detto che l’ecoscandaglio ci dia subito dei segnali positivi o ci faccia vedere il predatore, e questo per una serie di motivi. Tra questi potrebbe rientrare una particolare conformazione del fondo che può offrire “riparo” alla preda dal cono del nostro trasduttore, la velocità del nostro passaggio ed il fatto che non è detto che si riesca a passargli esattamente sopra. Il nostro scoglio può sembrare pieno di minutaglia, ma non si vedono le classiche marcature che identificano il predatore: questo non ci deve far desistere, ed un tentativo va fatto comunque.
Una grossa mano ci viene data dalle nuove tecnologie, eco e gps che comunicano tra loro e ci consentono di mappare perfettamente la zona, creando delle vere carte nautiche personalizzate e molto attendibili. L’Inchiku poi ci può dare una mano a capire le frequentazioni della zona, visto che è una delle tecniche che permette una maggior varietà di catture. Per fare qualche tentativo ci posizioniamo quindi sopra una grossa palla di mangianza, marcata dall’ecoscandaglio come una macchia estesa di colore rosso, staccata dal fondo di alcuni metri. In base al’intensità di vento, corrente e quindi scarroccio, bisogna cercare di capire da dove far partire la discesa dell’esca, in modo da darle il tempo di arrivare nel punto “buono”, posizionarci quindi più o meno a monte del pesce. Anche fare dei piccoli lancetti sempre a monte della corrente ci aiuta, oppure basta semplicemente calare le esche a fianco dello scafo, osservando che il filo scenda diritto senza allontanarsi: la maggior parte delle catture avviene con l’esca che scende in verticale, diritta sotto l’imbarcazione, e un colpo d’occhio approfondito alle condizioni ci deve servire a presentare al meglio la nostra esca. Sono molto minori, invece, le catture portate a termine con il filo che lavora in diagonale e con l’esca trascinata dallo scarroccio. Come accennato all’inizio dell’articolo queste sono solo le mie convinzioni, derivanti dalla mia esperienza; ho amici che, al contrario, effettuano molte catture con l’esca che risale in diagonale. Spesso, calando in mezzo a questi grossi branchi di pesciolini, è possibile l’incontro con il pesce San Pietro, dalla difesa un po’ passiva ma dalle carni spettacolari. Insistere ulteriormente sulla stessa marcatura, spesso può portare ad un bis visto che non di rado si possono trovare più esemplari raggruppati sulla stessa mangianza. Ma è anche molto importante non abituare i pesci alla presenza delle esche artificiali, quindi, decidere di cambiare zona, magari spostandosi verso poste più profonde alla ricerca di altre prede, ci offre una carta in più. Profondità intorno ai 70 metri o più, che degradano dolcemente, magari in prossimità di sassi in mezzo al fango. In questo caso cambiano però le prede ed il tipo di toccate (più secche e decise), seguite da ferrate ben assestate per non perdere l’attimo buono. Si tratta di pesci che combattono più energicamente, a volte anche venendoci incontro e costringendoci ad un recupero veloce del filo in bando per non perderne il contatto e rischiare così di slamarli: sono solitamente habitat prediletti dai paraghi e dai pagelli. Altri spot possono essere quelli caratterizzati invece da una serie di pinnacoli che si innalzano di alcuni metri dalla sabbia, spot piccoli, magari da una calata e via, che troviamo solitamente sulla strada del rientro. Qui possiamo trovarci un po’ di tutto essendo zone particolari, abbastanza lontane da altre secche e tali da attirare diverse specie di pesci, dai coloratissimi scorfani a pesci più insoliti come il lacerto (Aulopus filamentosus), passando per tanute, paraghi e mostelle che si nascondono negli anfratti delle rocce. La pesca ad Inchiku è divertente anche quando ci si rivolge a prede come queste, perché l’attrezzatura leggera consente comunque di gustarsi appieno l’azione di pesca ed il recupero di pesci a torto definiti “minori”. Spesso però, arrivano anche gradite sorprese, che si materializzano in una bellissima marcatura improvvisa sull’ecoscandaglio e si concretizzano non appena l’esca riparte dal fondo. Può trattarsi di un bellissimo dentice ad esempio, ed in questo caso sarebbe la degna conclusione di una stupenda giornata di pesca.