Nel linguaggio degli addetti al surf casting, una spiaggia si chiama profonda se entro i primi cento metri da riva il fondale degrada velocemente fino ad almeno cinque o sei metri.
• Mimmo Marfè
Ciò che permette di riconoscerla da fuori è una sabbia molto grossa, spesso ghiaiosa o addirittura mista a ciottoli e una pendenza marcata, che si tuffa in acqua con uno scalino di battigia ripido. Nella maggior parte dei casi non si tratta di spiagge molto estese, e il loro profilo è abbastanza regolare, a volte ad arco, raramente segnato da punte e canali. Non avendo riferimenti precisi conviene posizionarsi verso il centro spiaggia, perchè di solito i pesci che arrivano da fuori puntano dritti in quella direzione. Oppure proprio alle estremità, dove la sabbia comincia a mischiarsi alla roccia. Ma normalmente, anche a dispetto dell’aria invitante, se uno dei due margini risulta pescoso l’altro rimane deserto. Quindi è evidente che questa scelta è la più rischiosa.
In caso di mare calmo la spiaggia alta pone decisamente meno problemi di quella pianeggiante. Poche variabili nella scelta del settore e nemmeno la necessità di un lancio da top caster. Spesso i pesci, quelli grossi compresi, vengono a cena nei primi quaranta metri. Comunque, molto raramente, è il caso di spingersi oltre gli ottanta.
I problemi, insieme alle abboccate da sogno, arrivano però con la risacca. Una mareggiata qui non forma righe di frangenti, è un’onda sola che scarica tutta la sua energia proprio lì davanti. L’esca va posizionata poco oltre la schiuma, e questo è facile, ma poi bisogna essere in grado di farcela restare. Quell’onda unica è alta e potente, e bisogna evitare che avvinghi la lenza per schiacciarla sulla battigia, fra ghiaia e ciottoli. L’attrezzatura non ammette compromessi, ci vuole una Land Rover non una Porsche. Anche perchè se arriva il pescione, per tirarlo fuori da quella furia non basta un polso allenato, ci vuole una canna che ammortizzi quegli schianti e un filo robusto.
A proposito di pesci, qui non ci sono limiti alle speranze. Se si pesca nel calmo di solito sono mormore, probabilmente grandi, e forse orate. Ma non si trascuri mai di lanciare anche una canna senza piombo, innescata a sardina. Siamo nelle condizioni ideali e la sorpresa, otto volte su dieci, arriva proprio su questa.
Appena l’acqua comincia a muoversi, oltre a tutti i più classici del surf, può arrivare il dentice, il palombo o chissà cos’altro. Ma attenzione, bisogna crederci prima… è molto meglio che piangere poi.
Dunque pochi fronzoli e attenzione alla sostanza. Su spiagge a digrado profondo spesso su di un’esca leggermente flotterata potremo prendere l’occhiata di taglia. Per fondali importanti a tiro di lancio, spesso un buon attrattore potrà essere molto utile. Attenzione anche al tipo di fondale presente, roccia a terra spesso significa anche possibilità di qualche scoglio sul fondo, quindi utilizzeremo piombi a bassa tenuta (a mare calmo ovviamente). Tra le varie esche la spiaggia profonda presenta spesso oltre che qualche scoglio anche qualche chiazza di fango e qui il quasi dimenticato muriddu innescato senza parsimonia, potrà dire la sua. Per il suo innesco sono consigliabili robusti ami Aberdeen.
Mimmo Marfè
Giornalista, una vita vissuta in riva al mare. A sette anni le prime esperienze da riva con primordiali cannette in bambù, poi le prime telescopiche in fenolico. In Sardegna a fine anni 70 le prime esperienze dalla spiaggia e le prime catture mirate. La passione abbinata alla continua ricerca porta alla possibilità di poter elaborare modalità di pesca dalla spiaggia in ambito Mediterraneo. Da qui il primo libro “Surf Casting In Mediterraneo” edito come i successivi quattro dalla casa editrice Olimpia. Esperienze condivise sulle pagine del pioneristico Surf Casting Report, poi di Pesca in Mare e per decenni di Pescare Mare. L’approdo all’editoria digitale come naturale evoluzione della comunicazione con la consapevolezza che anche per me c’è sempre possibilità imparare.