Quando vogliamo parlare di un pesce combattivo, divertente e dalle buone carni da insidiare a Light Drifting, subito ci balza alla mente lei, la sfuggente e instancabile Palamita.
• Gian Luca Magri
La palamita, nel campo della pesca da natante in mare, ricopre, e non a demerito, un posto di primordine, annoverando nelle liste del suoi estimatori un folto numero di accaniti pescasportivi.
Pelagico instancabile, regala combattimenti mozzafiato dall’esito incerto sino alla fine. Dotata di denti a dir poco aguzzi, riesce a trinciare con estrema facilità il nostro monofilo, lasciandoci spesso con un pugno di mosche tra le mani.
La palamita,è un pesce schivo, difficilmente la vediamo sulla nostra pastura nell’immediato sotto barca. Molto vorace grazie al piccolo stomaco ed alla grande massa muscolare, riesce a “bruciare “ abbastanza in fretta il cibo, rimanendo così quasi perennemente affamata e in caccia, al tiro dunque delle nostre lenze.
La si insidia sia di giorno che di notte possibilmente, in quest’ultimo caso, quando siamo in presenza di luna piena, che la rende perennemente attiva.
Grazie a queste sue innate doti di generosissima combattente e vorace predatore e per le sue carni rivalutate ed apprezzate negli ultimi anni, sono state messe a punto per la sua cattura innumerevoli tecniche più o meno redditizie.
In questo articolo ad essa dedicato ci è piaciuto analizzare nei vari punti una tecnica divertente, piacevole, dove siamo sempre attivi e visivamente coinvolti, ovvero la pesca a light drifting.
I metodi per insidiarla sono essenzialmente due, ovvero utilizzando un galleggiante che ci permette di calare le nostre esche all’altezza desiderata o a Light puro, in corrente, utilizzando come lenza solo il nostro filo, alle volte piombato nella misura tale da far transitare la nostra esca dove è indirizzata la nostra pastura.
Partiamo analizzando per prima la tecnica a Light che vede l’utilizzo del galleggiante, la seconda la analizzeremo in un secondo articolo.
Tecnica in voga già da moltissimi anni, solo ultimamente grazie a continue modifiche ed a continui miglioramenti ha raggiunto un livello tecnico elevato, aumentando e non di poco il suo potere catturante.
Abbiamo limato e perfezionato un po’ tutto, analizzando la nostra lenza come se fosse un paziente in fin di vita…ed abbiamo infine operato. La prima operazione importante è la scelta del galleggiante da utilizzare. Abbiamo deciso di utilizzare un galleggiante di forma più affusolata o a pera, che in caso di filata faccia il meno attrito possibile. A questo punto una precisazione è dovuta, ovvero sul perché utilizziamo il galleggiante.
Il solo compito che esso ha, la sola sua funzione, è quella di trasportare e far lavorare la nostra esca alla profondità voluta. Basta nient’altro, pescheremo sempre a bobina aperta a filare e ci accorgeremo della partenza dallo svolgersi veloce del filo, non è che stiamo li a fissare i nostri galleggianti per decifrare le beccate.
I galleggianti che utilizzeremmo saranno di portata variabile tra gli 8 gr ed i 25 gr. Questo divario è dovuto solo alla massa dell’esca utilizzata.
Per meglio capirci, se pescheremo con il tocchetto di sarda un 8 gr può andare più che bene, altresì, se saremo costretti causa la presenza eccessiva di pesciolame in scia ad utilizzare come esca la sarda intera, viste le sue dimensioni, utilizzeremo un galleggiante di portata superiore come un 20/25 gr. Comunque l’innesco più accattivante prevede l’utilizzo del tronco della sarda, ovvero quello privato della testa e della coda, logicamente se non siamo in presenza di uno “sciame” di boghe in pastura che in un attimo la divorano.
Ci teniamo a ribadire che la funzione che il galleggiante ha in questa tecnica è solo il trasportare, il far transitare la nostra esca ad una profondità ben stabilita, dove noi pensiamo stia lavorando la nostra pastura e quindi il pesce in caccia.
Il galleggiante ovviamente sarà del tipo scorrevole, in modo da poterlo tarare anche a notevoli profondità.
Di solito durante l’azione di pesca utilizziamo n.3 canne che imposteremo a diverse profondità, questo fa si che potremo avere in caso di combattimenti su una sola canna un termine di paragone per impostare anche le altre due.
Altro fattore importantissimo in questa tecnica è il diametro del monofilo da utilizzare come trave.
Visti i monofili di ultima generazione utilizzeremo monofili dello 0,25 mm con carichi di rottura enormi rispetto ai passati e appositamente studiati per inbobinature con completa assenza di memoria come il nuovissimo Steel di casa Colmic o il Power.
Grazie a ciò, ci verrà garantirà una fluida fuoriuscita senza troppo trattenere, in tal modo da far transitare la nostra esca proprio la’ dove sta lavorando la nostra pastura.
Visto che pescheremo o con doppiati o con monofili sottili, in quest’ultimo caso di diametro variabile tra uno 0,20 mm ed uno 0,23 mm, ottimo lo Zaio Fluorocarbon di casa Colmic, dobbiamo fare attenzione anche a tutto quello che ruota intorno al nostro attrezzo principale, ovvero la canna.
La canna che utilizzeremo sarà di lunghezza variabile tra i 5 ed i 6 mt. ad azione media, capace di opporsi alle grandi fughe del pinnuto. Ottime le nuovissime IMPERIUM di Casa Colmic da 5 mt.
Grazie alla loro azione riusciamo a contenere e ben gestire le poderose partenze e controllare le improvvise evoluzioni che la palamita ci regala in special modo nel sottobarca.
Scandagliando su come sarà costruita la nostra lenza, andiamo a vedere punto per punto come essa sarà costituita. Innanzitutto collocheremo sul trave uno stop, ottimi sia quelli di lana che quelli in gomma, a seguire una perlina guidafilo, poi il nostro galleggiante seguito da un’altra perlina, una torpilla di peso adeguato, a seguire un’altra perlina e una girella tripla del n. 18.
Ad essa agganceremo il nostro finale che potrà essere o doppiato o singolo, comunque in entrambe le soluzione in fluorocarbon. Ottimo lo Zaio di casa Colmic.
La sua lunghezza sarà in tutti e due i casi intorno ai 2,5/3 mt.
Ruolo importantissimo nella pesca alla palamita viene ricoperto dal “rinforzino”, ovvero da quello spezzone di monofilo di diametro superiore al finale che collochiamo grazie ad un nodo alla fine dello stesso e sul quale collocheremo gli ami.
Molti utilizzano uno spezzoncino di 4/5 cm di trecciato, mentre a noi piace di più uno spezzoncino di fluorocarbon dello 0,28/0,30 mm, che dire… i gusti sono gusti. Solo che utilizzando il trecciato abbiamo l’impressione di appesantire la lenza togliendogli continuità, però noi pescatori tanto normali non siamo…
Uniremo il nostro spezzoncino al finale con un nodo blod saldato, fermato grazie ad una gocciolina di Loctite 406 che uniforma e stabilizza il tutto.
Di nodi di giunzione ne esistono tantissimi, ma il più semplice ed utilizzato tra i pescasportivi è sicuramente il blod, grazie anche alla sua facilità di esecuzione. La lunghezza dello spezzoncino sarà di circa 8/9 cm, ma in alcuni casi quando la palamita tende ad ingoiare l’esca potremmo allungarlo fino a 20cm.
Gli ami che utilizzeremo saranno due bei n.1 collocati in serie, una costante per tutte e tre le tipologie di innesco, ovvero con sarda intera, mezza sarda o con due tocchetti.
La pastura deve essere costante e non esagerata, ed oggi abbiamo la fortuna di poterci armare con uno strumento come il Sardamatic, che grazie all’ingegno del titolare Giovanni Spinelli ha risolto non vari problemi.
Per una battuta di pesca utilizzeremo circa 5/6 kg di sarde.
La tocca della palamita è secca e decisa, essa attacca l’esca a gran velocità, ed il filo uscirà vertiginosamente dalla nostra bobina.
Con molta calma chiuderemo l’archetto e appena il filo sarà quasi in trazione schioccheremo la nostra ferrata che dovrà essere dolce ma allo stesso tempo decisa x permettere agli ami di affondare nelle dure e “dentate” mandibole del pesce, non rompendo il finale.
Il combattimento sarà avvincente, come prima accennato la palamita è un pesce che non molla facilmente e fino alla fine darà tutta se stessa per potersi liberare dalla acciaiosa presa..
Nel prossimo articolo parleremo della pesca a Light drifting senza uso del galleggiante